Rotola, salta, si nasconde e poi irrompe. Movenze di un gatto simpatico, pasticcione, burlone, ingenuo in maniera disarmante ma anche malinconico e straordinariamente poetico nella sua semplicità. Gioca con la gravità e con il tempo. Quel gatto in realtà è un uomo, un piccolo uomo dalla muscolatura nervosa e dall’energia dirompente.
Quell’uomo è Ferruccio Soleri e lui è Arlecchino ed ha giocato con il tempo, conquistandolo. Uno dei performer più longevi della storia del teatro, ambasciatore delle arti sceniche italiane, ha divertito per più di 60 anni e oltre 2000 rappresentazioni innumerevoli spettatori in tutto il mondo.
Ricordo ancora la sensazione quando assistetti ad una replica di Arlecchino servitore di due padroni. Soleri era già adulto, molto adulto. Sentivo la poltroncina che mi avvolgeva, il vellutino dei braccioli sotto le dita e il mio corpo che ad ogni salto e capriola e gesto di quell’altro corpo vestito di colori, si muoveva. Ero immobile ma i miei muscoli erano attivi come se agissero nello spazio. Arlecchino servitore di due padroni è un pezzo di storia. É una di quelle storie che abbiamo voglia di riascoltare e rivedere, come da bambini chiedevamo all’infinito che ci raccontassero quella determinata favola, forse per sentirci sicuri, per sentirci parte di una storia più grande. O forse per la gioia, una gioia bambina, pura, semplice e senza tempo che Arlecchino sa regalare.
Soleri ha invaso con la sua vitalità le platee, il suo gesto svelto, preciso e narrante ha insegnato la potenza del corpo, come l’energia vitale sfida le leggi di natura e come una grande passione può diventare immortale. Immagino le prove tra Marcello Moretti a Ferruccio Soleri per il rituale passaggio di testimone del ruolo, “nella penombra del palcoscenico, a bassa voce, misteriosamente”(come racconta il grande Giorgio Strehler, regista dello spettacolo). Chissà se in quel tempo lontano il giovane Arlecchino immaginava che la sua sarebbe stata una lunga vita di capriole, lazzi, battute e poesia?
E.F.
